[visioni e sogni]


«I giovani hanno visioni e i vecchi sognano sogni. E ora tutti quei giovani sono vecchi, ammesso che siano vivi, e le loro visioni non sono che sogni, e i vecchi tempi sono dimenticati. Ci involiamo dimenticati come un sogno, come dice il vecchio inno, e i nostri sogni sono dimenticati molto prima di noi». (Marilynne Robinson, Gilead)

[contatto]

Sinistra e destra e movimenti e sommovimenti… ma io non penso che alla tazza.

L’altra sera stavo versando l’acqua bollente quando ho sentito come una pizzicata alla corda più alta del violino e in men che non si dica il piano della cucina era inondata. E io a guardare, incredula, la tazza integra. La osservavo da vicino dentro e fuori. Niente. Sotto la luce: niente. Sciacquata e asciugata, era bella e intatta. Appariva, evidentemente.

Il giorno dopo trovo una grossa cipolla che nel buio della cesta si è lanciata verso la – sua – primavera e decido di appoggiarla sopra la tazza: una bella armonia tra foglie fresche e dipinte. Seguo con un dito il disegno e… trovo la crepa. Con il tatto. Toccando con mano.

[epica sottovoce]

qui-come-altrove_effigie La donna che ripara i sogni e altre storie, di Zena Roncada

Alcune cose che vorrei non sentir dire a proposito di questo libro.

Che son storie che parlano di un modo “antico”, nel senso di “vecchio paese”.

Che sono testi trasferiti – tras/locati – dal web sulla carta, come se non esistesse una costruzione, una tessitura propria del libro.

Che i “mestieri inusitati” delle donne e degli uomini che si affacciano su queste pagine sono invenzioni in senso di fantasia e non nel senso etimologico di scoperta di cose nascoste allo sguardo superficiale (che scivola sulla superficie).

 

[Essaouira – p.s.]

Partire senza macchina fotografica – quella specie, insomma, che ho – non è stata una buona idea. Già non sono capace di puntare in faccia alla gente quella, figuriamoci un telefono. Una macchina fotografica “fa turista” – e cos’altro sono lì, io? -, ma almeno suggerisce, credo, l’attenzione che uno si porta appresso. E avere, tuttavia, a disposizione uno strumento in grado di “fermare immagini”, mi ha più distratta che aiutata a vedere. Ma forse non fa differenza cosa avessi o non avessi in mano: la vita comunque mi sarebbe passata troppo vicino, nei vicoli, e troppo lontano, sulla battigia-promenade che, per fortuna, lì non è riserva per pochi.

[proprio lì]

a C.

Chi del mondo poco ha visto, come fa a scegliere una meta per il viaggio da mettere sulla lista “prima di morire vorrei…”?

(Prima di morire vorrei arrivare ad usare le parole per ciò che sono – loro, io – e sfogliare tutti i tempi sereni del verbo)

La meta, dunque. L’ho trovata. Un puntino appena sulla mappa. Un mondo.
Lì c’è l’oceano. La frattura della Terra. C’è quel che resta dei forti di potere. C’è, vicino, la città viva che parla un’altra lingua. E le riserve per il mondo che sbarca lì per esserci ma non troppo, non troppo vicino; a portata di soldi ma non di odori. Si sta – tutti, lì – sopra le faglie, nel cuore crepato del Mondo.

Quel punto lì appartiene ai “popoli a tempo determinato” e alla sabbia e all’oceano in eterno. Meta ultima.