[dove andiamo stando]

«Solo l’uomo che ha molto viaggiato — dissi — è capace di narrare». Al che un montanaro obiettò: «Come spieghi che mio nonno ciabattino sapeva raccontare cose bellissime senza essersi mai spostato dalla sua valle?». Rimasi interdetto e per prendere tempo chiesi dove stava la bottega del vecchio. «Sulla strada», fu la risposta. Era la soluzione dell’enigma! Il ciabattino raccoglieva storie dai passanti, e le elaborava.

E allora? Allora il vero viaggiatore non è banalmente colui che si sposta e macina chilometri, ma colui che si affaccia sul flusso della vita e ne trae delle storie. Sì, ma dove sta la matematica? Eccola: il viaggio non è spostamento assoluto dal punto A al punto B, ma spostamento relativo. Dunque anche un uomo immobile può essere un viaggiatore, e di conseguenza un narratore. (Paolo Rumiz, Istruzioni per un viaggio perduto / La Repubblica)

[attimi]

“Non è un giorno di lentezza. Forse la lentezza è solo una retorica come un’altra. Siamo sbranati dal tempo e inseguiamo una salvezza che non c’è, un’intensità che ormai non si trova neppure nella morte. È arrivato il comunismo degli attimi. Non c’è modo di fare differenze, semplicemente si avvicendano, sembra che lo stesso attimo si replichi all’infinito. Il tempo come una nave da stivare in attesa di una navigazione impossibile. Non si salpa da nessuna parte. È ostruita la via del contingente e anche quella dell’eternità. Possiamo solo raccogliere brandelli di noi stessi e del mondo esterno, possiamo mettere solo virgole tra una cosa e l’altra.” (Franco Arminio, Nella Campania di pianura)

[raccontare che c’è l’indicibile]

“… per dire ai ragazzi, andando negli asili – perché questo è un lavoro da fare non nelle univerità o nei festival, solo, ma cominciando andare negli asili – a raccontare che c’è l’indicibile, l’incredibile, l’inaudito, l’inpensabile, l’incomensurabile, non c’è solo ciò che si mostra, non c’è solo ciò che esperibile, non c’è solo ciò che scientificamente riproponibile, non c’è solo quello che è informazione ma esiste anche un altro diveltere e un altro andare. Parlo proprio di non fare il “verso” ma di trovare altri versi. È una questione di poetica. Non c’entra la lingua, non c’entra il bel parlare, non c’entra il forbito, non c’entra… sì, c’entra la cultura ma non quella cultura che comincia con cultura e finisce per cultura.. In mezzo c’è dell’altro, dell’oltre, che non lascio alla chiesa, che non lascio alla new age, mai più, che non lascio alla scienza, che non lascio ai maniaci di un mestiere, di una vita sola…” (intervista ad Alessandro Bergonzoni)