[giornata di poesia]

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Il terremoto a Sermide ha danneggiato anche la vecchia scuola elementare – però un luogo che r/accoglie generazioni di vite giovani forse non dovrebbe essere chiamato “vecchio”, caso mai “storico” – che ora, rimessa in sicurezza, potrà tornare alla sua funzione. Ma prima, per un giorno, le aule si erano trasformate in “stanze”.
È bella, la parola stanza, ed è meraviglioso immaginare la giornata della poesia vissuta in stanze.
La stanza è un luogo dello stare, del so-stare lungo un percorso; la stanza – poetica – ha un “significato” compiuto ma è inanellato con altre stanze che moltiplicano “sensi” pur arrivando ad un senso e sensazione di completezza.
Sono state proprio così “Le stanze della poesia”, a Sermide. Con una interpretazione che mi piace definire diffusa e inclusiva della poesia, della partecipazione. Della “poesia della partecipazione”. Con una distinzione dei diversi modi di vivere la poesia che non crea steccati ma, appunto, stanze, non rac/chiuse ma protette dalle mura di una storica scuola con moltissime finestre.

Ero lì quando gli operai del Comune, concluso il lavoro di allestimento costato non poca fatica extra-ordinaria, se ne stavano andando. Uno di loro, omone che ti sembra poco propenso a poetiche riflessioni, si fermò e voltandosi per un ultimo sguardo pareva accarezzare quella visione. “Ma guardi che bella cosa che abbiamo fatto”, disse.
Ed è questo il momento che ha dato, a me, il senso compiuto di una giornata di poesia.

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