Quando riemergo dal mio buio, l’occhio corre al quadrato di cielo – né troppo vicino, né troppo lontano – azzurro frastagliato di tigli, verdi o abbruniti, promemoria di stagione. Ieri era tutto luminoso – esiste un più luminoso? – e pensavo che era giorno buono per partire, davanti ogni nitido dettaglio della strada e di tutto quanto è oltre lo sguardo.
Oggi la nebbia tarda a salire, e penso che sia un giorno buono per partire – morbido è il peso e il corpo – con un fascio di luce che trapassa la coltre all’altezza del cuore, libero.
Domani forse piove, e partire sarà nascere a nuova vita; di casta nudità vestiti, i rami del tiglio restituiranno vita – a goccia a goccia fino all’ultima – in terra.
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Chi sa viaggiare con tanto lirica fantasia dentro se stesso, forse non ha nemmeno bisogno di partire: la magia del viaggio è dentro il suo cuore, il tuo cuore, Teresa.
Un abbraccio pieno di auguri belli.
grazia
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C’è una partenza, Grazia, nostra o di altri, alla quale pensiamo di poterci preparare ma così non è forse mai.
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Dunque questo partire prelude a un ritorno, in nuova forma/essenza, senza cascami a gravare l’essere.
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Tutto il giorno che ci penso, Donatella. Cioè, mi chiedo se la partenza debba essere necessariamente pensata in binomio con ‘arrivo’ o con ‘ritorno’ (che è, poi, sempre un arrivo).
Siamo stati educati ad affrontare la morte sempre con l’ausilio di una stampella variamente “religiosa” che la renda in qualche modo uno stato provvisorio. Ma non lo è, non nella percezione dell’individuo, a meno che non riesca “percepirsi cosmo” lui stesso.
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Ogni viaggio è a sé, ha la sua storia, un suo bagaglio da portarsi appresso, oserei dire, una sua meta.
E mi piace pensare che ci debba essere anche un ritorno, inevitabilmente.
La morte non è uno stato provvisorio ma nemmeno una partenza definitiva. Quel che resta è molto più di un’assenza.
Che tristi pensieri per una giornata che si vuole di festa!
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